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Progresso Fotografico®, una delle riviste più antiche d'Italia, fondata nel 1894, esattamente un anno fa ha deciso di dedicarmi 8 pagine nel suo numero dedicato alle donne fotografe: "Storia della fotografia al femminile dall'1800 a oggi".
Colleziono questa rivista dall'adolescenza, da quando iniziai ad avvicinarmi al mondo della fotografia.
La vita ha tanti modi per regalare soddisfazioni.
Condivido qui un estratto dell'intervista pubblicata dalla rivista bimestrale Progresso Fotografico® nel n.56, marzo-aprile 2019 dal titolo "Sguardo di donna. Storia della fotografia al femminile dall''800 a oggi".
Il link diretto alla rivista originale è in fondo alla pagina.
Dal 2004 Marianna viene scelta
dai maggiori brand della fotografia e dalle più alte realtà governative
come Guru, Evangelist e Ambassador.
Per chi ha vissuto il passaggio dall’analogico al digitale Marianna Santoni ha rappresentato la certezza di poter portare nel mondo numerico i propri capolavori, superando la frustrazione di ritrovarsi con tante possibilità ma poche conoscenze per plasmarle.
Dal 2004 Marianna viene scelta dai maggiori brand della fotografia e dalle più alte realtà governative come Guru, Evangelist e Ambassador.
In questa intervista sviluppiamo la poliedricità della sua figura professionale dalla post-produzione alla fotografia, fino alla formazione.
La mia comparsa nel mondo professionale della fotografia e del digital imaging è stata vista come inusuale, sia in quanto donna, sia perché con i miei 26 anni venivo considerata molto giovane, in un mondo di esperti (maschi) molto più grandi di me. Oggi siamo abituati a vedere uomini e donne di tutte le età distinguersi nei propri ambiti, ma è un cambiamento recente: Internet e i social media hanno certamente aiutato questo nuovo scenario.
Io mi sono avvicinata alla fotografia negli anni Novanta, nella mia adolescenza, e allora non esistevano Google, YouTube, Facebook né Instagram. Non esistevano smartphone e tablet, non c’erano computer in ogni famiglia.
La sola fotografia era quella oggi chiamata “analogica”; in Italia, nella maggior parte dei casi, imparavi a fotografare da tuo padre, oppure studiando sui libri, o più raramente in qualche accademia. Io ho avuto accesso solo alla strada più economica: i libri. Tanti libri. Tantissimi. Erano scritti da uomini e parlavano per lo più di uomini: la fotografia fino a quel momento era un mondo quasi esclusivamente maschile. Dopo aver passato anni in ambiti umanistico-artistici e poi nell’antropologia visuale all’università, nel 2000 mi sono avvicinata un po' per caso all'uso del computer e mi ha entusiasmato. Due anni dopo mi sono imbattuta in Photoshop ed è stato amore a prima vista. Ai miei occhi incarnava l'unione di due passioni: la fotografia e l'informatica. È stato proprio l’insegnante di quel primo corso su Photoshop a mettermi in mano per la prima volta una fotocamera digitale: è stato questo l’inizio di una nuova avventura che ha rivoluzionato la mia vita. Agli inizi però non è stato facile. Nei primi anni 2000 l’uso delle fotocamere digitali era una faccenda iperpionieristica e l’uso “fotografico” di Photoshop lo era ancora di più.
Si trovavano pochissimi libri sul software in generale, raramente tradotti in italiano, e nessuno che trattasse l’argomento da un punto di vista fotografico. Dubito che esistessero forum sul tema, in qualsiasi lingua.
Mi sono dovuta conquistare da sola ogni competenza, consapevolezza, tecnica e soluzione. Mossa da autentica passione, per due anni non ho fatto altro che studiare a dismisura. Solo nel 2004, durante il primo vero colloquio di lavoro della mia vita, con Adobe, ho capito che tutta quella dedizione aveva fatto di me uno dei pochi esperti nel digital imaging in Italia. Con mia sorpresa al termine di quel colloquio mi ero sentita dire "La chiameremo sicuramente"! Con la telefonata seguente avevo saputo che in Italia erano stati scelti quattro Adobe Guru per Photoshop e il digital imaging, ed io ero una di loro, unica donna, la più giovane.
Il paradosso di questa storia è il modo in cui ho acquisito il mio bagaglio culturale e tecnico: un apparente svantaggio si è trasformato nella mia più grande fortuna. Avere pochissime fonti su cui studiare e nessuno con cui confrontarmi mi ha abituata, in quei due anni, a non dare mai nulla per scontato. Mi ha abituata a chiedermi il perché delle cose e a cercare risposte scrupolose e dimostrabili, soluzioni replicabili, verificando sempre tutto di persona. Un approccio tipicamente scientifico che ha segnato profondamente la mia carriera e che mi ha permesso di acquisire in sedici anni un livello di esperienza e di prepa-azione che è poi ciò che cercano da me i maggiori marchi del settore.
Quando sono entrata a far parte degli Adobe Guru mi sono ritrovata catapultata da un giorno all’altro in un mondo "ad alta tecnologia". Se una donna nello spazio fa ancora oggi notizia, non è difficile immaginare che effetto facesse la mia presenza come relatrice in un mondo quasi esclusivamente maschile. Le donne, sia in platea sia tra gli organizzatori, erano una minoranza. A questo tipo di grandi eventi fotografici partecipavano centinaia di fotografi intorno ai 45 anni. In quel periodo erano quasi tutti nostalgici e la pellicola rappresentava ancora un'autorità assoluta e indiscussa per chiunque si occupasse di fotografia. Molti fotografi odiavano l'idea del digitale. Si stavano lentamente adattando a questo cambiamento piegandosi con grande riluttanza e amarezza: “il digitale toglie poesia alla fotografia”, dicevano, ma agli occhi di tanti era un male inevitabile perché ormai molti dei loro clienti iniziavano a preferire i pixel: meno costi (apparenti) e soprattutto tempi più rapidi. Questi fotografi sentivano anche la forte pressione della concorrenza esercitata dai pochi colleghi che, passati al digitale prima degli altri, stavano offrendo servizi più veloci a prezzi più bassi. E nel mercato delle attrezzature venivano sfornate quasi solo fotocamere digitali. Molti fotografi si sentivano letteralmente accerchiati dal nemico ed io, ai loro occhi, incarnavo quel cambiamento e quindi anche il nemico.
Sul palco ero sempre l'unica donna e quando toccava a me molti in platea posavano la penna. Immagina per un attimo di stare sul punto di parlare a 300 persone e vedere il pubblico incrociare le braccia con un'aria tra lo scettico e il sarcastico. Un po’ perché ero considerata troppo giovane per avere qualcosa da insegnare, un po’ perché ero donna, ma soprattutto perché, ai loro occhi, un esperto di Photoshop come me incarnava quel mondo digitale freddo, barbarico, invadente, scomodo e difficile che aveva fatto irruzione nella loro vita e li stava costringendo a imparare ad usare un computer, distruggendo con prepotenza duecento anni di poetica storia della fotografia.
Poi però, dopo i primi minuti di scetticismo, qualcuno dalla platea iniziava a riprendere la penna per appuntarsi qualcosa e dopo dieci minuti erano diverse le persone che stringevano in mano carta e penna e non le mollavano più. Poi le domande e mille ringraziamenti. E con il tempo anche gli autografi e i fiori.
Qualche collega un po’ geloso diceva che alla fine dei miei eventi si creava la fila per baciare la sposa come ai matrimoni. In realtà il segreto di quel successo improvviso era semplice: i fotografi non odiavano né me, né Photoshop, né la fotografia digitale, ma quello che detestavano era sentirsi improvvisamente come pesci fuor d’acqua. Aver trovato finalmente qualcuno che spiegasse gli argomenti più tecnici in modo così semplice li aveva conquistati. Capivano in fretta che ero competente e che non ero lì per fare la parte dell’arrogante o per sfoggiare tecnicismi sterili. Non mi sono mai piaciuti gli insegnati astratti e difficili da capire ed io ero lì per insegnare ai fotografi come tradurre la loro visione fotografica in un’immagine digitale ben fatta. Evento dopo evento, riuscivano a chiarirsi tanti aspetti oscuri e potevano farlo con qualcuno che parlava la loro stessa lingua: una fotografa. Dopo aver vissuto per anni la mia passione fotografica completamente da sola ero entusiasta di poterla finalmente condividere con gli altri! Ero una di loro, guidata da una passione fortissima, ma anche con la determinazione di semplificare loro la vita e di riaccendere il loro entusiasmo... e ci riuscivo!
Alcuni mi definiscono un’innovatrice. Per molti ho incarnato una delle figure che hanno maggiormente contribuito ad abbattere i vecchi pregiudizi. Pregiudizi sulla fotografia digitale, su Photoshop, sul ruolo delle donne come fotografe e imprenditrici, sul potenziale dei giovani e anche sul pregiudizio che gli esperti debbano essere persone presuntuose e difficili da capire.
Di cognome faccio Santoni... un aiutino mica da poco! [ride] Scherzi a parte, me lo chiedo spesso anch’io. Sono tante le pieghe della vita che portano una persona a fare un certo percorso piuttosto che un altro. A me è successo un po' di tutto. Mi considerano una sopravvissuta ed è meraviglioso esserlo, per me è un inno alla vita. Sono sopravvissuta a vari terremoti, tra cui quello in Giappone del 2011, a un truffatore che mi ha derubata, a un atterraggio di emergenza, a un vagone in fiamme. Sono sopravvissuta a un tumore maligno scoperto al terzo stadio.
Ho la consapevolezza di non essere una persona dotata di particolare intelligenza; gli altri capiscono sempre tutto al volo, io ci metto più tempo. Nonostante i miei limiti ho scelto di non tirarmi indietro e mi sono impegnata a sviluppare le mie qualità. Ho voluto difendere i miei sogni e la mia felicità. Ho imparato a perseguire il coraggio.
Mi sento fortunata per le tante opportunità di crescita che la vita mi ha offerto; il mondo è pieno di ottimi fotografi ed io ho avuto la fortuna di avere forse più occasioni di altri. Raramente mi sono sentita all’altezza delle possibilità che mi sono state offerte, ma impegnarmi per esserlo alla fine mi ha resa tale. Ho sempre pensato che tutto ciò che è possibile fare, lo sia anche per me. In fondo la vita è un’opportunità e va onorata.
Oggi mi viene riconosciuta la capacità di scoprire e risvegliare qualità nascoste nelle immagini, nelle attrezzature e nelle persone; mi ritrovo spesso a stimolare nuovi punti di vista, nuovi rapporti tra le cose, intuizioni insolite. Mi appassiona incoraggiare gli altri ad allontanarsi da schemi di pensiero tradizionali, ad uscire dal guscio e a spiccare il volo. Cerco di farlo nel modo più arguto e divertente possibile.
La mia vita ruota intorno a questo ed è proprio ciò che mi attrae. Mi rende felice aiutare gli altri a fare lo stesso.
Avere modelli può essere un grande aiuto lungo il proprio percorso. L’importante è non pensare che sia merito del “talento”. Qualcuno deve aver inventato questa parola con intenti diabolici. Con una sola parola ha fatto due danni: ha dato vita all'illusione che per qualcuno sia più facile che per altri e allo stesso tempo ha creato l'alibi per non provarci abbastanza.
Winston Churchill diceva: “Il successo è l'abilità di passare da un fallimento all'altro senza perdere il proprio entusiasmo.”
Le persone che si rivolgono a me sono molto diverse tra loro. Sono fotografi professionisti, fotoamatori, aziende e multinazionali, tutti con specializzazioni diverse, tutti con il desiderio di risolvere i loro problemi con le immagini: dalla fase di scatto, alla post-produzione, fino alla stampa.
C’è però qualcosa di speciale che li accomuna: sono persone che fuggono dalla mediocrità, che non si accontentano e vogliono superare i propri limiti, vogliono andare al di là di quello che sono riusciti a fare da soli fino a quel momento. Vogliono arrivare ad esprimere se stessi al meglio anche attraverso la fotografia.
Innanzitutto non mi sono mai piaciute le “photoshoppate”. La mia post-produzione ha a che fare soprattutto con quanto riesco ad essere invisibile. Mi entusiasma poter conoscere in profondità la visione fotografica di un autore e riuscire a darle voce; è affascinante, perfino avvincente, diventare “il braccio” attraverso il quale una grande idea prende forma.
Questo aspetto del mio lavoro mi permette di entrare in contatto con fotografi straordinari come George Tatge (Fratelli Alinari®), Franco Pagetti (VII Agency®) e Christopher Anderson (Magnum®) ai quali ho avuto il privilegio in questi anni di insegnare qualcosa nella post-produzione e di ottimizzare alcuni scatti. Ho imparato molto da ciascuno di loro. Sono stati incontri importanti per la mia vita e per la mia professione, incontri che hanno evoluto la mia visione e anche il mio modo di post- produrre.
Entrare negli hard disk dove grandi autori custodiscono gli scatti che hanno preceduto e seguito un’immagine famosa è un po’ come salire in una soffitta. Questa esperienza, quasi mistica per un fotografo, continua a svelarmi nuove sfaccettature della creazione di un’immagine fotografica e della sua pre-visualizzazione.
Da un lato li capisco. I giornali bombardano l’opinione pubblica quasi su base giornaliera con articoli che parlano di “immagini taroccate con Photoshop”. Nella mente di molte persone quel software è diventato sinonimo di “contraffazione”.
È innegabile che Photoshop venga usato per dare vita anche ad autentici orrori, ma per un fotografo il suo ruolo è completamente diverso: non serve per stravolgere la realtà o mettere una toppa ad un errore, piuttosto offre la grande opportunità di riappropriarsi della camera oscura per interpretare l’immagine con toni, contrasti e colori più fedeli alla propria visione personale.
Ogni volta che sento discorsi nostalgici, la prima cosa a cui penso è che la maggior parte dei fotografi menzionati sono stati in realtà grandi sperimentatori e precursori, alla continua ricerca di tecniche nuove e di nuovi modi di esprimere la propria visione. Esploravano. Non si precludevano nessuna strada. Studiavano. Conoscevano bene gli strumenti del loro lavoro e li mettevano al servizio della creatività. Raramente delegavano e anche quando lo facevano, il dialogo tra fotografo e stampatore si tramutava in una simbiosi per la quale l’uno non riusciva quasi più a reggersi senza l’altro. La mia idea è che se oggi Ansel Adams fosse qui non si negherebbe le nuove tecniche e gli strumenti che il digitale offre, anzi, sono certa che scatterebbe in digitale, impazzirebbe per Photoshop e studierebbe di continuo tutto quello che potrebbe essergli necessario per spingere oltre la propria visione fotografica.
Quando si parla della fotografia analogica spesso ci si dimentica che quei maestri hanno quasi tutti basato la loro intera vita non solo sulla ricerca di un linguaggio unico, ma anche sulla spinta propulsiva offerta dalla sperimentazione creativa e tecnica di materiali, attrezzature e supporti.... che spesso sono parte integrante del cammino che porta ad un linguaggio personale.
Difendo strenuamente il buon gusto per una foto concepita come si deve già dallo scatto. La fase più importante nella mia creazione di un’immagine è la sua pre-visualizzazione... la visione che precede lo scatto. Una foto non si fa con il dito, ma con il cuore e con la testa.
Se non hai le idee chiare su cosa si vuoi ottenere, la pressione del dito sul pulsante di scatto o la post-produzione saranno comunque deboli: né la tecnica, né Photoshop riusciranno a compensare la carenza di contenuti, intenzioni, sensibilità, senso estetico.
Alcune delle foto del mio portfolio sono nate durante eventi formativi per grandi marchi; sono state scattate su un palco. In quelle circostanze la mia fotocamera è collegata direttamente al videoproiettore, non puoi permetterti di sbagliare.
Adoro stare con le persone! Si dice che a livello di carattere e umore finiamo per diventare la media delle cinque persone che frequentiamo di più. Io amo circondarmi di persone che sono interessate a crescere. In questo senso i corsi sono portentose calamite naturali. Sono frequentati solo da persone che pensano di avere ancora qualcosa da imparare nella vita e hanno un tale entusiasmo da rinunciare a giornate intere del loro tempo libero per cercare di crescere. Cosa potrei volere di più? Alcuni dei miei più grandi amici li ho conosciuti proprio un’aula. Non è un caso.
Il processo fotografico richiede consapevolezza sia dal punto di vista interpretativo, sia da quello tecnico. L’idea, la visione personale, la macchina fotografica, la luce, lo scatto, la post-produzione, la stampa non sono anelli indipendenti, ma sono tutti legati tra loro. Formano una catena che costituisce il flusso del lavoro fotografico. Più un anello è debole, e ne basta uno soltanto, più la catena rischia di spezzarsi compromettendo tutto il lavoro. Spesso una visione limitata dell’intero processo porta a cercare le risposte dove non sempre si possono trovare; al contrario una visione trasversale aiuta a risolvere i problemi proprio lì dove si trova la vera causa. Se vuoi raggiungere risultati appaganti, sia per te, sia per chi guarda le tue immagini, devi considerare ogni elemento nella sua peculiarità e nell’insieme.
Questa è per me la prima e più importante lezione di fotografia.
Progresso Fotografico n. 56, marzo-aprile 2019.
Puoi scaricare la rivista gratuitamente e leggere la versione integrale dell'intervista.
"Progresso Fotografico è una rivista di fotografia fondata a Milano nel 1894 da Rodolfo Namias e da Mario Ganzini. Fu una delle prime riviste italiane dedicate al settore della fotografia.
Progresso Fotografico nacque con lo scopo di analizzare, descrivere e divulgare le nuove tecnologie e procedimenti fotografici messi a punto nel mondo con un linguaggio semplice e comprensibile sia agli addetti ai lavori, sia agli amatori e principianti che si approcciavano all'arte fotografica."
DA WIKIPEDIA
Io, eterna studentessa,
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Commenti
Carissima, prima di questo volevo farti i miei complimenti, per la tua professionalità e conoscenza, e se mi permetto di fare qualche intervento, è sopratutto per esprimere alcune mie idee, che non sono il "vangelo", ma piuttosto dei pensieri e, come in questo caso, qualche volta non di carattere tecnico ma estetico, e tu sai bene che non esiste un "manuale" di estetica.
Ho letto con grande piacere la tua intervista, a un vecchietto come me fa sempre piacere tornare al passato. Ma due cose me le devi permettere: in primo luogo, non credo che Ansel Adams oggi userebbe una macchina digitale, e questo non per motivi tecnici, ma guardando le sue fotografie, noti sempre quella profondità e plasticità che (secondo me) deriva proprio dall'uso di obbiettivi a lunga focale. Io non ho nulla contro la fotografia digitale, tu sai benissimo che quando eseguivo le mie prime elaborazioni al computer, Photoshop non era ancora sul mercato, probabilmente sono stato il primo in Italia, e ho sempre sostenuto la validità del sistema digitale. Purtroppo i dorsi a scansione servono soltanto per gli still-life, ma penso che quelli Ansel Adams li avrebbe usati tranquillamente. La seconda osservazione è direttamente collegata a questa; se dovessi, come fotografo (che non sono), fare un reportage o foto di un matrimonio o in tantissime altre occasioni, che sarebbe lungo elencare, allora userei la macchina digitale (anche se al matrimonio di mia nipote ho ancora usato la Rolleiflex) ma con tutto il rispetto per le idee degli altri, se voglio fare una bella foto, un bel ritratto userei ancora la pellicola.
Ecco, qui mi ero interrotto dato che avevo raggiunto il massimo dei caratteri. In realtà non avevo tanto altro da dire. Potrei aggiungere che, al termine del liceo (1954) ero diventato assistente di Giacomo Pozzi Bellini (di cui custodisco l'archivio) ed ho lasciato la ripresa fotografica per l'attività nel laboratorio proprio perché mi rendevo conto che non sarei mai riuscito a fare fotografie come era capace lui. Come ho avuto occasione di rispondere a Massimo Danza, quando mi permetto di intervenire sull'eventuale ipotetico uso del digitale da parte di Ansel Adams, mi sembra un po il discorso se Nuvolari fosse stato più bravo di Vettel, ma non è assolutamente questo che voglio fare, non sto dicendo che la tecnica digitale sia peggiore o migliore di quella "analogica?", sono due tecniche che possono avere pregi e difetti (come tutte le cose al mondo) ed a me, francamente, vanno bene entrambe. Facevo solo una questione, ma si tratta di un pensiero mio personale. Quando vado a vedere alcune fotografie fatte su pellicola con la vecchia Plaubel 6x9,non posso non notare la differenza di "plasticità". Non vorrei che a questo termine venisse dato un significato tecnico, parlo di quelle differenze di fuoco nei vari piani della immagine che conferiscono esteticamente un certo "timbro" alla immagine, cioè uso il termine esclusivamente a fini estetici. D'altro canto uso anche io Photoshop, non per stravolgere le immagini, ma sopratutto per rifare in digitale quello che facevo circa sessant'anni fa, sotto la luce dell'ingranditore, gli interventi che, con meno precisione, si facevano con le mani per schiarire o scurire parti dell'immagine. Insomma spero di essere scusato se, dopo aver fatto le scansioni di un numero considerevole delle immagini di Pozzi Bellini, ritengo che anche lui non avrebbe usato la macchina digitale. Ma avrebbe molto apprezzato gli interventi di post-produzione. Grazie di tutto e soprattutto complimenti a te che sei una ragazza fantastica!!
A parziale e rispettosa contraddizione di @ Aldo Bonzi, di cui nessuno discute della professionalità rinomata; sono della tua opinione su Ansel Adams.
Ho sviluppato il sistema zonale con Photoshop, ottenendo risultati inimmaginabili con la fotografia chimica (qualcuno la chiama sbagliando analogica), proprio per la “plasticità “ del file digitale rispetto alla pellicola.
Anzi se oggi ho una certa credibilità rispetto alla mia clientela, lo devo proprio a questo salto che feci fare al sistema zonale nel digitale.
Ed anche io sostengo che oggi il maestro con il digitale avrebbe sguazzato regalandoci capolavori e tecniche inimmaginabili.
Nel passaggio dalla pellicola al digitale ho avuto un pessimo impatto, per poi capire che creativamente oggi abbiamo possibilità inimmaginabili, proprio con l’editing.
Ho letto l’articolo e mi è piaciuto molto, rinnovo i complimenti.
A leggere questa intervista o meglio l'articolo intero, non nego che un "colpo" al cuore mi viene. Sia la nostalgia di certi anni, sia per tante cose che alla fine legano quasi tutti a certe situazioni di vita passata. Imparare al giorno d'oggi non è per nulla facile seppur paradossalmente abbiamo l'informazione a portata di un click. Essere obbiettivi e scegliere le persone che sanno insegnare e che sanno quello che fanno, al giorno d'oggi è veramente un'impresa. Marianna è una persona che a mio avviso ha vasta esperienza e di conseguenza, per norma, si cerca d'imparare da chi ne ha. Ritornare alla semplicità e seguire l'essenziale sarebbe un obbligo eticamente morale al giorno d'oggi senza lasciarci confondere dalle troppe informazioni inutili che la rete ed Internet offrono.
Grazie Marianna, per la condivisione di quest articolo.
Ciao Jonny,
mi hai lasciato un messaggio particolarmente speciale e ti ringrazio per questo.
Ti ringrazio per l'attenzione e la sensibilità con la quale lo hai letto, ma anche per quello che hai deciso di scrivermi.
Hai ragione, non è facile formarsi oggi. Abbiamo tutti molti più mezzi e possibilità, più che in qualsiasi altro periodo storico che l'uomo abbia vissuto, ma purtroppo si tratta di fonti meno filtrate e questo offre alcuni pro, ma anche molti di contro.
Spero che riusciremo a continuare a prendere il meglio da tutto questo e anche comunque ad aiutarci gli uni con gli altri perché non condividere la conoscenza resta per me una forma di crimine.
Ti mando un carissimo saluto.
M.
Cara Marianna, credo che sia una tra le più belle interviste che abbia mai letto. Saper parlare apertamente di se stessi senza filtri è un dono assai raro.
C'è un passaggio che ho riletto più volte. In quel passaggio si percepisce tutto il tuo percorso, il cuore che batte più forte, il tremolio, il singhiozzo, i mille pensieri mentre ti dai forza. Ricordi quella Meravigliosa canzone degli anni 90
" La forza della vita"
- quando toccherai il fondo con le dita ad un tratto sentirai la forza della vita che ti trascinerà con sé -
Solo chi ha toccato il fondo e ha trovato la forza per risalire può acquisire la capacità di farsi spazio in un mondo di "lupi" legati a vecchi dettami, ma sempre con grazia, umiltà e grande eleganza. Sei STRAORDINARIAMENTE GRANDE un esempio, una luce da seguire ❤️
Un grande, grandissimo abbraccio, a presto Massimiliano!
PS: rimani sempre così come sei.
Sai bene quanto io ami le tue foto e il tuo mondo interiore. Per me ricevere da te queste parole, riesce a riempire tutto di un significato ancora più alto.
Grazie per tutto.
Buongiorno Marianna,
ho screensciottato alcune parti dell'intervista e le ho inviate alle mie figlie... loro non si interessano di fotografia, ma le lezioni di vita arrivano spesso da dove meno te lo aspetti. Grazie.
Se mai migliorerò come fotografa mi iscriverò a uno dei suoi corsi... me lo prometto!
I corsi di Marianna hanno completamente modificato il mio modo di essere durante il lavoro. Se prima ogni foto post-prodotta era un lavoro che richiedeva una dose di fatica, oggi invece affronto ogni passaggio con leggerezza, so esattamente cosa devo fare e dove voglio arrivare.
I corsi di Marianna sono densissimi di informazioni, una pioggia continua di strumenti e sapere, senza risparmio di entusiasmo e dedizione.
(E piovono anche perle di scuola di vita)
Grazie Marianna ❤️
È stato tanto bello anche per me, Fabio e Luca conoscerti in classe. Riesci a portare allegria, passione e tenacia ovunque tu vada. Sono qualità più rare di quanto si possa pensare.
In questo periodo di quarantena per il Covid-19 sto lavorando a nuovi progetti e ad alcuni incarichi da parte di Canson, EIZO e X-Rite... ci saranno presto nuove sorprese!
Intanto ti mando un grande abbraccio virus free nell'attesa di poterlo fare presto di nuovo dal vivo.
M.
Ciao Marianna, ho letto il tuo percorso, lo ammiro perché sei partita da zero e con niente! Una curiosità: arrivavi già da una formazione nel settore grafico o in connessione con la fotografia oppure da tutt’altro? Trovo davvero stupendo il tuo percorso professionale, per di più collegato a una passione!
Un carissimo saluto
Nathalie
Ciao Nathalie, grazie per essere qui e per aver letto l'intervista.
Il mio background è più culturale che tecnico: ho sempre amato l'arte.
Da bambina disegnavo tanto, ho fatto danza classica per 16 anni, ho fatto teatro per 10 anni.
Ho preso la maturità al liceo classico ad indirizzo linguistico (inglese, francese e tedesco). All'università ho scelto Antropologia Visuale (un ramo della Facoltà di Lettere e Filosofia): ero già innamorata della fotografia, ma non potevo permettermi istituti lontani dalla mia città.
Una parte dell'università l'ho fatta in Irlanda a Cork grazie a una borsa di studio. Nel 2002 ho vinto un'altra borsa di studio finanziata dell’Unione Europea per diventare esperto multimediale.
All'epoca non sapevo usare bene il computer: mi incuriosiva, ma ero completamente estranea a quel mondo, provavo a familiarizzarci a piccoli passi da appena un anno. In quel corso imparai ad usare meglio il computer e soprattutto incontrai per la prima volta Photoshop®. Fu un colpo di fulmine: un mondo completamente nuovo per me che venivo dalla pellicola, uno strumento eccezionale in cui vedevo la naturale fusione di due mie grandi interessi: l'amore di sempre per la fotografia e la nuova passione per l’informatica. Un incastro perfetto. In quello stesso periodo l’insegnante di quel corso mi mise in mano per la prima volta una fotocamera digitale.
Per me iniziò un viaggio incredibile di esplorazione e conoscenza. Due anni dopo rispondendo ad un annuncio sul sito ufficiale andai a quel famoso colloquio con Adobe® e lì mi scelsero come Adobe Guru® facendo di me l'esperto più giovane e l'unica donna selezionata in Italia da Adobe® come Adobe® Guru per Photoshop® e Lightroom®. Quel riconoscimento cambiò per sempre la mia vita.
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